Wood Wide Web: l’internet vegetale

L’idea che abbiamo comunemente delle piante è quella di organismi sì viventi, ma immobili e soprattutto incoscienti. Studi e ricerche degli ultimi anni hanno, al contrario, evidenziato che tali convinzioni non sono esatte, almeno per ciò che concerne il grado di coscienza. Esse sono infatti non solo più vive di quanto si ritenga, ma sono anche capaci di realizzare autentiche “comunità” vegetali e, più in generale, di svolgere una vita associativa.
In “Trattato di Botanica” di Eduard Strasburger (I volume), l’autore definisce come caratteristica fondamentale della pianta la struttura “aperta” del corpo, i cui organi (radici, foglie e fiori) si sviluppano ed espandono liberamente verso l’esterno attraverso estroflessione e ramificazione dei vari punti vegetativi, superandone in tal modo il limite dell’immobilità. A differenza dell’organismo animale che conta sul movimento per sopravvivere, da cui la conseguente necessità di riunire i diversi organi e apparati in una struttura “chiusa”, l’organismo vegetale si è affidato alla fonte di energia illimitata fornita dal sole che conserva nei composti a base di Carbonio, pur permanendo la necessità di drenare acqua e materie prime disponibili in modo discontinuo nel suolo della terra. Correlata alla struttura “aperta” dei vegetali è la mancanza di organi specializzati per funzioni precise (come il rene, il fegato o il sistema nervoso centrale presenti negli animali), dove però ogni singola cellula vegetale è comunque in grado di svolgerle. La creatività delle cellule vegetali si è indirizzata verso la moltiplicazione dell’arsenale delle molecole, una per ogni esigenza e situazione, come l’attacco di determinati insetti o la minaccia degli erbivori, la variabile disponibilità di acqua, il contrasto alle piante concorrenti per l’accaparramento dello spazio e dei nutrienti e così via. Le singole piante hanno dimostrato di possedere notevoli capacità evidenziate in decenni di esperimenti e studi, ma vi è un capitolo estremamente interessante qual è quello relativo alla  loro vita associativa (boschi o campi, ad esempio) dove l’insieme dei singoli individui manifesta comportamenti e strategie sorprendenti e indicativi di intelligenza. Recenti pubblicazioni scientifiche iniziano a osservare la profondità e complessità della comunicazione e cooperazione che si realizza tra i vegetali, aggiungendo ulteriori tessere al puzzle dei meccanismi evolutivi, mostrando il limite della visione che vorrebbe come fondamentale la sola competizione tra individui e specie diverse. Una recente ricerca pubblicata da un gruppo di scienziati canadesi del Department of Forest and Conservation Science, della University of British Columbia a Vancouver, BC, Canada (M.A. Gorzelak et al. 2015) ha riconsiderato i precedenti studi sulla simbiosi che si realizza tra piante e funghi, denominata micorriza, evidenziando che essa risulta essenziale per la sopravvivenza e l’adattamento delle comunità vegetali.
La micorriza è la simbiosi realizzata tra un fungo e la radice di una pianta e ne costituisce un collegamento intimo, con reciproco vantaggio e sostegno, svolgendo un ruolo fondamentale nella vita quotidiana di quasi il 90% dei vegetali nell’ambito dell’adattamento alle variabili condizioni ambientali. La rete micorrizica è antichissima e sembra essersi sviluppata addirittura nello stesso periodo in cui i vegetali hanno abbandonato gli oceani per “conquistare” la terraferma (circa 400 milioni di anni fa). Tale rete può costituirsi estesamente tra numerose specie di funghi che si collegano a diverse specie di piante, creando così un mutualismo diffuso, sebbene esistano reti molto specifiche con collegamenti solo tra singole specie. Il termine “fungo”, a differenza del significato consueto,  viene qui riferito soprattutto al groviglio di filamenti biancastri e sottilissimi, composto dalle ife, la cui rete è invisibile poiché si estende per decine di metri all’interno del sottosuolo, godendo di una durata di vita notevole, addirittura più secoli, a differenza del più noto corpo fruttifero (il carpoforo) formato dal classico gambo e cappello che ne rappresenta solo la porzione visibile esposta sulla superficie del terreno, e limitato come durata ad una breve stagione riproduttiva in cui dissemina le proprie spore.
Proprio questo groviglio sotterraneo di ife è risultato fondamentale per gli ecosistemi. Da alcuni decenni è divenuto popolare il termine  “Wood-Wide Web” (la rete “di legno”, ovvero Internet del bosco; termine forse apparso per la prima volta in un lavoro di Simard et al.  nel 1997), per indicare lo scambio di informazioni e sostanze nutrienti che avviene tramite la micorriza. Numerose prove scientifiche evidenziano l’importanza di questi collegamenti per la crescita ed il sostegno alle piccole piante, così come per il corretto funzionamento delle cellule vegetali e la loro difesa chimica in caso di attacco da parte di insetti o erbivori. Per veicolare i segnali chimici le piante usano i diversi mezzi di cui dispongono, come ad esempio la ben nota diffusione aerea di molecole,  più rapida ma meno specifica. Tuttavia l’utilizzo del “canale” delle ife fungine, che nel sottosuolo può collegare contemporaneamente numerosi organismi vegetali, permette la realizzazione di azioni come il travaso tra piante diverse di Carbonio e Azoto (cioè di zuccheri sintetizzati grazie alla fotosintesi, di anidride carbonica, di semplici aminoacidi), così come di Fosforo, di altri micronutrienti, dell’acqua e di sostanze dette allelo-chimici in grado di agire sui geni, e questo avviene in  risposta a precise richieste delle piante vicine, le quali inviano specifici segnali chimici per indicare situazioni di stress, ridotta disponibilità d’acqua, pericolo per la presenza di insetti parassiti o di animali erbivori e simili disagi. Interessante è il fatto che le risposte indotte in chi è collegato dal Wood-Wide Web si realizzano in tempi brevi: il movimento delle molecole che viaggiano attraverso le ife fungine per passare dalla pianta “donatrice” verso le vicine piante “richiedenti”,  si attua infatti nell’arco di poche ore o al massimo pochi giorni. La pianta richiedente, da parte sua, dopo aver ricevuto nutrienti e segnali chimici, manifesta comportamenti di risposta altrettanto rapidi, e nell’arco di poche ore o qualche giorno, può modificare il proprio aspetto e la propria fisiologia . Uno studio condotto su pomodori infestati da un bruco che ne mangia le foglie (Song et al, 2014) ha evidenziato nei vicini pomodori, non ancora attaccati, una maggiore attività di 4 geni che si è tradotta nella produzione di un fitormone specifico, l’acido Jasmonico, un messaggero chimico di difesa che porta all’aumento della resistenza all’insetto; in questo studio i pomodori hanno potuto distribuire il fitormone da una pianta all’altra perché collegati da una rete micorrizica.
A volte le informazioni trasportate possono essere anche di tipo dannoso per le piante riceventi (analogamente a quanto accade navigando in Internet, quando si introducono dei virus informatici nel proprio computer), come nel caso in cui la micorriza veicola sostanze nocive naturali o di sintesi come gli erbicidi. Un esempio è dato dal noce nero, che è un albero notoriamente poco tollerante nei confronti delle altre piante concorrenti presenti nelle vicinanze e il quale produce perciò sostanze come lo juglone, molecola che possiede diverse attività tra  le quali quella antibatterica e fungicida. I ricercatori canadesi riportano in sintesi lo studio di Achatz M. et al. (del 2014) in cui le piante poste a distanza di sicurezza dal noce, ma comunque collegate a questo attraverso una rete micorrizica, hanno manifestato una crescita ridotta rispetto ad altre piante vicine ma non collegate. La rete fungina potrebbe quindi essere stata usata anche per la guerra biochimica mirata tra piante di specie diverse.

In generale da diversi studi riportati nell’articolo di cui sopra, nella rete di collegamento della micorriza lo scambio di sostanze nutrienti sembra avvenire dalla pianta più ricca di risorse alle piante più povere di nutrienti ed acqua tramite il mezzo fluido ed con una precisa direzione, non con diffusione casuale, come evidenziato dalla professoressa Simard e collaboratori già in precedenti lavori (2012). All’origine di questo meccanismo intelligente e preciso vi sarebbe la diversa situazione dei singoli individui: la pianta donatrice, che generalmente è quella più ricca di acqua, più anziana e voluminosa, invia alla pianta ricevente il sostegno di cui necessita, e quest’ultima è di solito quella più fragile e sofferente perché situata in zona d’ombra che impedisce la fotosintesi o su un terreno povero di nutrienti ma, a seconda del mutare delle situazioni ambientali e delle condizioni delle singole piante, i flussi di trasferimento possono anche subire cambiamenti con conseguente inversione di donatore e ricevente.

Gli autori concludono l’articolo con qualche riflessioni di portata più ampia sul significato evolutivo di questa associazione. Tutti i partecipanti al Wood-Wide Web , sia il fungo micorrizico che le piante, sembrano trarre un evidente vantaggio dalla rete di collegamento. Il fungo ottiene il Carbonio di cui ha bisogno sintetizzato da alberi e piante tramite fotosintesi, dal momento che lo stesso non è in grado di produrre le molecole complesse a partire dall’energia solare, e questo gli concede ulteriore opportunità di espansione e colonizzazione su maggiori distanze. Le piante, a loro volta, possono accedere ad una riserva più ampia di risorse prelevate dal terreno e trasferite ai tessuti interni dei diversi vegetali collegati in rete, senza tralasciare la possibilità di trasmissione rapida di informazioni specifiche anche su distanze notevoli.
Gli studiosi intravedono vantaggi evolutivi dal punto di vista del singolo vegetale, poiché in genere le piante più vicine sono imparentate tra loro e perciò lo scambio di sostanze nutritive con esse si produce quasi sempre in uno specifico sostegno alle più giovani appartenenti al proprio ceppo. Tuttavia anche il sostegno a piante geneticamente estranee può costituire un vantaggio. Infatti nelle comunità miste si osserva una maggiore stabilità rispetto alle monocolture (dove i collegamenti sono solamente tra alberi e piante dello stesso tipo). Tale diversità di collegamenti, secondo gli autori dell’articolo, potrebbe costituire una strategia efficace per la riduzione  dei rischi derivati dalle mutevoli condizioni ambientali. La loro conclusione è che lo scambio di nutrienti e di informazioni rechi un vantaggio anche in caso di collegamenti tra specie vegetali diverse, e che questo divenga evidente se riferito alla stabilità su lungo termine (cioè sul periodo di mesi, stagioni, differenze climatiche).
Essi ritengono inoltre  che tra i vari comportamenti presenti nel mondo vegetale, possano esserci anche quelli della selezione “di gruppo”,  in cui gli interessi ed i bisogni della comunità avrebbero la priorità sulle esigenze dei singoli individui; con queste linee guida, la scelta di distribuire le risorse e gli aiuti sarebbe dettata dal principio della sopravvivenza del gruppo anche a discapito del singolo. Perry (1995) considera questo meccanismo selettivo prevalente tra le piante ed ipotizza l’esistenza di vere e proprie  “gilde cooperative” in cui organismi diversi, collegati da reti micorriziche,  mostrano comportamenti “altruistici”, generando una rete di sostegno e stabilità in grado di fronteggiare la precarietà dell’ambiente. I ricercatori canadesi, autori dell’articolo, in riferimento al collegamento tra piante e funghi, usano il termine di “reciproco altruismo”, per evidenziare quali siano le priorità che guidano i comportamenti delle singole piante. Questa definizione, se confermata, potrà contribuire al superamento di stereotipi sulla selezione naturale, spesso considerata sinonimo di competizione spietata. In realtà gli esempi di cooperazione in natura non mancano e sembrano affiancarsi costantemente alla competizione. Quello della micorriza rappresenta solo un possibile livello di collegamento tra esseri viventi; le comunità vegetali non rimangono confinate in sé stesse e sviluppano su altri livelli connessioni con la restante parte della biosfera. Anche gli animali, e l’uomo con essi,  risultano strettamente collegati al regno vegetale e la loro sopravvivenza è dipendente da esso.
Le piante possiedono infatti la capacità  di attrarre irresistibilmente, attraverso colori, sapori e odori dei fiori e dei frutti gli animali, che prontamente accorrono per appropriarsi delle sostanze nutritive offerte. L’uomo, la creatura dotata della maggiore intelligenza sulla Terra, si è spinto oltre ed utilizza ogni mezzo e tecnologia in suo possesso per accudire, sostenere, migliorare e facilitare  l’espansione di quelle piante che poi lo ricambiano con nutrimento o riparo. Intelligente, ma poco consapevole, l’essere umano, coinvolto com’è nella frenesia del movimento, tende a rimuovere la realtà del proprio collegamento e della propria dipendenza con lo “statico” regno vegetale. Troppo spesso ci si dimentica che le piante possono fare a meno dell’uomo, ma viceversa l’essere umano non è in grado di vivere senza la loro attività.
Per quanto attiene all’intelligenza delle piante, si assiste negli ultimi anni ad un dibattito piuttosto acceso. Questa attività mentale può essere definita considerando diversi parametri, tra le soluzioni più accettate vi è quella secondo cui l’intelligenza è in definitiva l’individuale “capacità di risolvere i problemi”. Esiste evidentemente una gradualità in questa capacità, per cui nell’animale la risposta intelligente è semplice e schematica, dato che lo stimolo agisce direttamente sugli istinti; mentre nell’uomo tra lo stimolo e la risposta vi è un’elaborazione più ricca e libera. Tutto questo comunque è possibile solo perché esiste un sistema nervoso con miliardi di neuroni collegati in reti neurali. Nelle piante, come riportato sopra, non sono presenti organi centrali come il sistema nervoso, da qui la difficoltà di accettare l’idea del vegetale dotato di una propria intelligenza. Alla luce dei collegamenti tra le piante, però, come ad esempio quello della micorriza in cui la collettività nel proprio insieme manifesta significative  “capacità di risolvere i problemi”, forse non è lontano il giorno in cui si renderà necessario rivedere la definizione di intelligenza. Si può davvero escludere l’idea che un singolo albero possa costituire l’equivalente del singolo neurone animale, o che l’insieme delle piante strettamente collegate rappresentino il corrispettivo vegetale di una rete neurale animale?

Alessandro Polizzi

(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 10 di ottobre 2015)

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