“Quintessenza del dramma moderno”, come lo ha definito Peter Szondi, “Sei personaggi in cerca d’autore” è il più famoso dramma dello scrittore premio Nobel Luigi Pirandello. Un’opera assolutamente innovativa, che suscitò grande scalpore all’epoca, tanto che la prima, tenutasi al Teatro Valle di Roma il 9 maggio 1921, si concluse con una rissa e Pirandello dovette essere tratto a viva forza dalla calca; in esso vi si trova la summa del pensiero del figlio del Caos, un insieme delle più importanti riflessioni quasi ossessivamente ricorrenti nell’autore agrigentino. La vicenda si svolge sul palcoscenico di un teatro: gli Attori e il Capocomico sono intenti nelle prove dell’opera di Pirandello “Il giuoco delle parti” quando vengono interrotti dal sopraggiungere dei Personaggi, sei appunto, una famiglia travagliata partorita dalla mente di un autore che si è poi rifiutato di mettere in scena il loro dramma. Essi sono perciò alla ricerca di qualcuno che possa mettere in scena la loro storia e decidono di rivolgersi al Capocomico. Dopo delle iniziali proteste, dovute all’interruzione e alla difficoltà di soddisfare la loro richiesta, costui si lascia persuadere e decide perciò di farsi narrare l’intera vicenda, ascoltando sia la versione del Padre sia quelle della Figliastra, della Madre e del Figlio (senza battuta rimangono il Giovanotto e la Bambina). Da qui si passa ad una sorta di commedia dentro al dramma nel momento in cui il Capocomico tenta invano, arrivando quasi a disperarsi, di inscenare la storia oramai ricostruita e riadattata per la scena, interrotto assiduamente dai Personaggi, insoddisfatti dalla resa degli Attori poiché i fatti, ricostruiti e visti come “altri”, non sembrano gli stessi da loro compiuti. Il dramma si conclude allorché durante la recita si ode uno sparo: il Giovanotto si è sparato e a ciò seguono attimi di confusione dovuti all’incapacità di comprendere se sia vivo o morto. L’interrogativo si perde sulla scena e il Capocomico, esasperato, fa spegnere le luci e calare il sipario troncando le prove. Lo scritto si rivela perciò essere innanzitutto di carattere metateatrale, portando avanti una disamina della creazione artistica del genere teatrale, dalla convenzionalità della messa in scena, vista come una mera finzione della vita reale – al punto che i Personaggi pretenderebbero di essere essi stessi attori del proprio dramma, dal momento che solo loro lo hanno vissuto e potrebbero riproporlo in una maniera che non paia loro a dir poco comica e inesatta – alla difficoltà della messa in scena stessa, frutto di un alacre lavoro della compagnia teatrale. Compare poi il rapporto tra attori, il loro modo di essere al di fuori della scena, ma anche il rapporto tra attori e capocomico, così come il ruolo e l’importanza del regista e degli effetti scenici. Non manca poi una frecciata di Pirandello ai detrattori di allora, che lo accusavano di scrivere
astruse e spesse volte incomprensibili opere. Ma oltre alla riflessione sulla natura del teatro, l’opera racchiude la visione che Pirandello ha del mondo e della vita. Il Padre da un lato è un borghese che si ritiene attento alla moralità – tanto da allontanare il Figlio, facendolo crescere in campagna, proprio per recargli giovamento morale durante la crescita attraverso il contatto con la natura – dall’altro è un frequentatore di case di incontri, all’interno delle quali finisce per trovare la Figliastra. Con ciò il nostro muove una critica alla società borghese, attenta alle convenzioni ed al buon nome, alla rispettabilità, ma che dietro alla facciata si rivela diversa: proprio il Padre afferma infatti che egli non è certo l’unico a fare qualcosa del genere, ma è di certo l’unico ad ammettere di farlo – sebbene tenti poi ipocritamente di trovare come giustificazione la solitudine dovuta alla fuga della moglie, Madre, con il proprio segretario. In questo modo poi, i rapporti umani si riducono ad essere delle recite inautentiche, in cui ciascuno di noi possiede un ruolo.
Da ciò deriva poi un’altra riflessione: può un uomo, e la sua intera esistenza, essere giudicato per un singolo avvenimento, per una misera porzione della sua vita? È forse giusto che la Figliastra continui a biasimare e disprezzare il Padre per il fatto che costui aveva occasionalmente frequentato case d’incontri? Pirandello non risponde apertamente ma è chiaro che il suo spunto risulta essere fonte di una profonda riflessione per lo spettatore che sia attento – e pronto a farlo- ad accoglierlo. Sempre il Padre si fa poi portatore di un’ulteriore questione. Egli dà il via ad un breve dibattito con il Capocomico sulla realtà dei Personaggi, sostenendo appunto che il personaggio, frutto della fantasia dell’autore sia in realtà più autentico delle persone. Esse infatti, al contrario del Personaggio che è statico e agisce e reagisce sempre allo stesso modo, sono in costante evoluzione e modifica, risultando così non dei veri individui ma una molteplicità di caratteri che a seconda della circostanza possono manifestarsi – tema reperibile anche in altri scritti, nei quali la personalità umana viene scomposta e si giunge alla conclusione che l’individuo è al tempo stesso “Uno, nessuno e centomila”, per citare il titolo di un’opera pirandelliana, proprio perché si percepisce in un modo, cristallizzando un’immagine di se stesso, ma è al tempo stesso percepito differentemente da ogni altro individuo, divenendo così nessuno poiché non più soggetto unico ma una molteplicità di dimensioni che variano per sé e per ogni altro singolo che lo percepisce. Infine vi è forse la più forte delle riflessioni di Pirandello, riguardante la difficoltà di discernimento tra finzione e realtà. La vicenda del Giovinetto rimane irrisolta, con parte degli attori che escono urlando “Finzione! Finzione!” e parte urlando “Realtà! Realtà”. Le certezze dell’uomo sono crollate dopo la scoperta di Copernico (che per questo in “Il fu Mattia Pascal” viene maledetto) ed esso si ritrova drammaticamente senza più punti fissi in un mondo che appare reale, ma che può rivelarsi esserlo meno di quello frutto della fantasia di un autore, come bene afferma il Padre: “Il Padre: Oh, niente signore. Farle vedere che se noi oltre la illusione non abbiamo altra realtà, è bene che anche lei diffidi della realtà sua, di questa che lei oggi respira e tocca in sé, perché – come quella di ieri – è destinata a scoprirlesi illusione domani. Il Capocomico: Ah, benissimo! E dica per giunta che lei, con codesta commedia che viene a rappresentarmi qua, è più vero e reale di me! P: Ma questo senza dubbio, signore! (…) C. Più reale di me? P: Se la sua realtà può cangiare dall’oggi al domani… C: Ma si sa che può cangiare, sfido! Cangia continuamente; come quella di tutti! P: Ma la nostra no, signore! Vede? La differenza è questa! Non cangia, non può cangiare, né essere altra, mai, perché già fissata – così- <<questa>> – per sempre – (è terribile, signore!) realtà immutabile, che dovrebbe dar loro un brivido nell’accostarsi a noi!”
Ecco perciò che “Sei personaggi in cerca d’autore”, ma più in generale l’opera omnia pirandelliana, finisce con l’essere un testo da leggere assolutamente sia perché a tratti piacevole sia perché capolavoro di una riconosciuta mente geniale quale è quella dello scrittore agrigentino, sia perché potente portatore di spunti di riflessione che sono forse ancora più attuali dello scorso secolo, nel quale esso venne alla luce, permettendo al lettore di scuotersi da parte delle sue certezze ed iniziare a considerare e pensare il mondo in una maniera nuova e più complessa di quanto solitamente non faccia.
Alessandro Polizzi
(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 11 di novembre 2015)