Guardarlo con gli occhi di Tommaso Pincio ( pseudonimo dello scrittore e pittore Marco Colapietro) è pura poesia.
“In questo quadro ideale il bar domina la scena. L’acida luce delle sue lampade si riversa sul marciapiede. Sembra un tappeto di latte. Latte andato a male. Intorno è il deserto. Non un’auto, non una persona. Le finestre degli edifici vicini sono rettangoli neri, paurosi pertugi di vuoto assoluto, simili alle cavità orbitali di un teschio. […] Un viandante che si trovi a procedere solitario in queste strade si sentirebbe sospeso, […] si imbatterebbe quindi in questo bar e da fuori, dalla strada in cui si trova, si fermerebbe ad osservare quanto accade oltre la parete trasparente dell’ampia vetrina. Vedrebbe un cameriere in camicia e berretto bianchi rivolgersi da dietro il bancone a un avventore […] Il vetro gli impedirebbe di udire cosa dice il cameriere, ma considerando l’aria assorta dell’avventore, il viandante potrebbe dedurre che si tratti di qualcosa di consolatorio, del tipo “Giornata storta, eh?”.
Più oltre scorgerebbe una coppia indifferente a tutto, alle parole del cameriere, all’avventore pensieroso, al bar, alla notte. La donna, in vestito rosso, gli apparirebbe assorbita in un gesto molto femminile: lo sguardo concentrato sullo smalto […] Al viandante non sfuggirebbe che la mano dell’uomo, dalle cui dita pende una sigaretta accesa, è molto vicina a quella della donna, quasi la sfiora. […]
“La notte è buia e desolata, mentre l’interno di quel bar, nonostante la sua illuminazione acida, da latte andato a male, ha qualcosa di caldo, di accogliente. E’ come un falò avvistato in una foresta nera. Quel che conta è che lui è fuori e solo, mentre loro sono dentro e insieme. Quel che conta è che vorrebbe entrarci, in quel bar annegato nella notte. Ma non sa come fare, perché non riesce a capire dove sia la porta. La vetrina del bar corre lungo i due lati senza interruzioni di sorta, perfino l’angolo è arrotondato. Una grande lastra che sigilla ermeticamente il locale, separando il dentro dal fuori, la luce delle lampade dal nero della notte, chi guarda da chi è guardato.”
“Fu dipinto dal pittore Edward Hopper sul finire del 1941, mentre l’America veniva scossa dall’attacco giapponese a Pearl Harbor e Hitler vagheggiava di annientare Washington e New York, oltre che un discreto numero di ebrei. Un viandante che si trovasse a passare per le sponde del lago Michigan, potrebbe ammirarlo esposto nel museo che sorge nel centro di Grant Park. Nottambuli – questo il titolo che l’artista pensò di dargli dietro suggerimento della moglie Jo – è diventato quel che si dice un’icona”
Descrizione tratta da: “Hotel a zero stelle. Inferni e paradisi di uno scrittore senza fissa dimora” di Tommaso Pincio
Maria Luisa Polizzi
(Articolo tratto da “Il Bazar della Cultura”, supplemento al mensile “Lo Scaffale” – N. 2 di febbraio 2017)