Le prove della reincarnazione

Se ho vissuto altre vite come mai non ne conservo alcun ricordo ? Sarà mai possibile ottenere una risposta definitiva a questa domanda ? La fede nella reincarnazione è tra le più radicate e diffuse credenze umane, collegata ad elaborati sistemi religiosi. Vari autori dell’antichità ne hanno documentato la presenza nel mondo greco-romano, tra i celti, in Palestina e nell’antico Egitto, precisando però che si è trattato di un fenomeno circoscritto ad alcune classi sociali e gruppi religiosi. Tra alterne vicende questa credenza ha superato i secoli giungendo fino ai nostri giorni dove sembra vivere una fase di espansione. Dati statistici come quelli riportati nella rivista “La civiltà cattolica” (1991, IV 325-336) e nel libro “I valori del tempo presente” di J. Stoetzel indicano per il decennio 1981-1991 che il numero di italiani credenti nella reincarnazione è cresciuto dal 21% del 1981 al 31,4% nel 1991 e quest’ultimo valore è stato confermato anche nel 2011. Questa diffusione sembra aver riguardato soprattutto persone che credono in un Creatore ma senza una precisa appartenenza religiosa . Nel suo libro “La reincarnazione nel mondo moderno” E. Bertholet definisce quest’ipotesi come la più ragionevole per spiegare l’esistenza di ingiustizie e disuguaglianze nel mondo; grazie ad essa “tutto diviene chiaro, tutto si spiega”. Alla maggioranza delle coscienze però il solo ragionamento non basta e sollecita dei riscontri anche per questo genere di esperienze collocate al confine della dimensione materiale.

In risposta a questa esigenza le moderne ricerche hanno ritenuto utile l’adozione di metodi come l’ipnosi regressiva o le descrizioni spontanee e verificate da parte dei minori, come quelle riportate nei Docu Reality della serie TV “Ho paura di mio figlio”. Queste metodiche prestano il fianco a delle critiche. Il problema in questi casi è che non si riesce ad eliminare la possibilità che si possa trattare di suggestioni indotte dagli studiosi stessi. Un ulteriore passo in avanti è dato dal sistema usato dal medico psichiatra americano di religione protestante Ian P. Stevenson che ha puntato agli aspetti materiali di questo fenomeno, quello delle impronte lasciate sul corpo dalle impressioni mentali delle vite precedenti. Lo psichiatra è nato nel 1918 in Canada ed ha vissuto e lavorato negli USA fino alla sua morte avvenuta nel febbraio del 2007. Nel corso di cinquant’anni presso la University of Virginia School of Medicine ha insegnato e condotto ricerche sulle nostre potenzialità inespresse, sulla percezione e sui fenomeni definiti paranormali. L’originalità dei suoi studi ha suscitato inevitabilmente delle reazioni contrapposte tra i colleghi e gli studiosi, che in molti casi lo hanno deliberatamente ignorato, ma questo non ha impedito comunque a Stevenson di condurre le proprie ricerche descrivendone le metodologie su numerosi articoli e libri basate su un’ampia casistica come ad esempio nella monografia medica  “Reincarnation and Biology : A Contribution to the Etiology of Birthmarks and Birth Defects” da cui è tratto il compendio divulgativo edito da Armenia “Le prove della reincarnazione”. L’autore riporta in questo volume diversi casi di bambini con meno di sette – otto anni e appartenenti a varie culture non occidentali che raccontano di aver vissuto eventi coinvolgenti in vite precedenti e per i quali in questa vita ne porterebbero dei ricordi fisici come malattie congenite, macchie sulla pelle e cicatrici profonde presenti dalla nascita.

Il metodo usato da Stevenson e dai numerosi collaboratori consiste nella verifica meticolosa delle corrispondenze tra il racconto del bambino, i segni fisici presenti sul suo corpo, le affermazioni dei suoi genitori e parenti che vengono messi a confronto con le ricostruzioni, le testimonianze e gli elementi collegabili alle presunte vite precedenti, come ad esempio i certificati di morte e i referti delle autopsie se disponibili. Lo psichiatra americano è consapevole dei possibili limiti ed errori di questa metodologia di ricerca e non trascura possibili fattori confondenti come le reazioni cutanee provocate da stimoli meccanici ed il controverso punto della mente materna “impressionata” nelle prime fasi della gravidanza da eventi traumatici come possibili spiegazioni alternative. Accanto ai casi deboli ve ne sono alcuni più convincenti, come quello, riportato nel decimo capitolo, del bandito turco Cemil Hayik ucciso insieme al fratello dai militari francesi che occupavano la provincia di Hatay all’inizio degli anni trenta. Cemil si suicidò tra le fiamme della casa in cui aveva trovato rifugio puntandosi il fucile sotto il lato destro del mento ed il proiettile uscendo dalla parte superiore del cranio ne aveva sollevato una parte. Poco dopo, a distanza di qualche giorno dalla morte Cemil rinacque come Dahham Fahrici e secondo il racconto dei parenti tra i due ed i sette anni affiorarono nel bambino i drammatici ricordi della vita precedente, da sveglio e con incubi notturni, insistendo perché i genitori lo chiamassero Cemil e mostrando costantemente un atteggiamento ostile verso gli agenti di polizia. Stevenson ha avuto modo di verificare con una sorella del bambino ed un gendarme francese presente alla sparatoria con Cemil le modalità del suicidio e le ferite al collo e alla testa provocate dal fucile, compatibili con la presenza di una voglia alla destra del mento ed un’area lineare priva di capelli sul lato sinistro della sommità del capo. In aggiunta ai segni fisici ogni persona eredita anche delle “cicatrici” psichiche come specifiche fobie, sogni e incubi ricorrenti, gusti e tendenze, alle quali Stevenson accenna nella prima parte del libro. La nutrita casistica del libro è in grado di affascinare ogni lettore ed almeno per un istante sarà inevitabile ripensare alle proprie cicatrici e personali fobie e tendenze nell’ottica della reincarnazione. Il bisogno di prove oggettive in un argomento così sensibile, com’è quello del destino dell’uomo dopo la morte, rientra tra le tipiche convinzioni occidentali ma la cultura orientale che da tempo ha accolto la fede nella reincarnazione sostiene che non occorrano dimostrazioni, poiché il ricordo delle esistenze precedenti si realizza presto o tardi a livello individuale quale conseguenza di un lungo percorso di crescita interiore.

Paolo Salvatore Polizzi

(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 11 di novembre 2016)

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