La natura del potere

Nel libro “La natura del potere”, edito da Laterza nel 2009, Luciano Canfora propone una riflessione sul potere e sui vari modi in cui esso viene amministrato a seconda degli ordinamenti politici, da quelli democratici a quelli autoritari incentrati su un capo plenipotenziario.
La prima domanda che il filologo e storico si pone è se il potere sia effettivamente posseduto dai personaggi pubblici noti a tutti o se essi siano in realtà una “facciata” dietro alla quale operano consorterie aventi come unico scopo il profitto economico. La risposta viene fornita esponendo il punto di vista di due pensatori fra loro pressoché contemporanei ma agli antipodi per ideale economico-politico: il primo è il liberale Benjamin Constant, del quale viene ripreso un passaggio del discorso all’Athénée Royal di Parigi (1819) in cui egli afferma che nelle realtà politico-statali antiche “i governi erano più forti dei privati…oggi dovunque i privati sono più forti del potere politico”; il secondo intellettuale citato è Marx, il quale scrisse nel “Manifesto del partito comunista” (1848) “il potere politico dello Stato moderno è soltanto un comitato che amministra gli affari della classe borghese nel suo complesso”. Dunque la risposta fornita è che il potere sia amministrato da pochi, tanto in democrazia quanto in forme di governo in cui il potere è limitato a gruppi ristretti o a singoli.

Ma qual è la reale differenza fra democrazia e tirannide?
La prima cosa che si deve chiarire è che il regime democratico coinvolge tutti, ma non in ugual maniera, almeno a detta dei critici di questo sistema. Infatti, quale che sia la fede politica dei critici della democrazia, essi sono concordi nell’indicare che il vero potere è in mano a pochi (o per meriti delle minoranze al potere, o per demeriti delle masse votanti).  Bisogna poi considerare che “democrazia” è un’etichetta piuttosto generica che racchiude varie tipologie, dalla democrazia diretta dei Greci all’attuale democrazia rappresentativa, passando per svariate altre tipologie. Risulta perciò valido il passaggio, citato da Canfora, della “Critica alla democrazia” di Ugo Spirito che recita “non esiste il regime democratico, ma esistono tanti tipi di regimi democratici quanti sono i tipi di minoranze capaci di guidare le maggioranze”. Le differenze di facciata racchiudono comunque un nucleo identico: la manipolazione e l’orientamento dell’elettorato per raggiungere i propri scopi.
Una simile condotta politica non sembra però discostarsi molto dall’operato di un tiranno. Infatti le somiglianze fra i due ordinamenti politici sembrano più di quante non appaiano in un primo momento, andando oltre la propaganda negativa dei democratici.

Si può intanto aggiungere, a quanto detto dall’autore, che il termine tiranno comparve in Grecia (τύραννος), probabilmente importato dalla penisola anatolica, per indicare tutti quegli uomini che grazie a situazioni di instabilità interna riescono a cogliere per sé un potere pressoché assoluto. Fu solo in seguito alla propaganda democratica ateniese che il termine andò ad assumere un significato negativo. Ma contrariamente a questa retorica, essi non possono essere ritenuti semplicemente degli individui guidati da una sfrenata ambizione che li ha portati ad assumere il potere. Al contrario essi sono portavoce di una élite (quale che sia la sua natura, ad esempio economica o militare) che li appoggia. Come scrive Canfora: “il tiranno è una invenzione, una creazione politico-letteraria. Quando il suo potere si dimostra durevole, si deve realisticamente riconoscere che il ‘tiranno’… è qualcuno che ha dalla sua un pezzo più o meno grande, talvolta grande, della società”. A sostegno di tale tesi l’autore porta due famosi tirannicidi il cui compimento non ha portato alcun giovamento: l’uccisione di Ipparco (514 a.C.) e il cesaricidio (15 marzo 44 a.C.). Il primo caso non risulta essere un tirannicidio vero e proprio, per quanto la retorica democratica ateniese lo abbia indicato come “il tirannicidio” per eccellenza, primo passo per l’instaurazione della forma di governo tanto cara al popolo di Atene. Ipparco, infatti, non era tiranno (lo era suo fratello Ipparco) e venne ucciso per ragioni private (“ ‘questione d’amore’ per dirla con Tucidide”); l’omicidio si risolse poi in un immediato nulla di fatto, causando un inasprimento di Ippia, fino a quel momento molto tollerante e ben voluto al pari del padre Pisistrato.


Il caso di Cesare risulta essere invece un tirannicidio in piena regola: venne assassinato il 15 marzo del 44 a.C. in Senato da più di venti congiurati nel tentativo di restaurare la Repubblica da lui abbattuta. Non solo ciò non avvenne (quasi tutti i congiurati, entro tre anni dal fatto, ricevettero una morte violenta in luogo della gloria agognata per il loro gesto) ma anzi portò poi all’affermarsi di Ottaviano che instaurò un governo personale sulla carta meno evidente di quello cesariano ma nei fatti più forte (creò una dinastia passando ai familiari il proprio potere).
Dunque quello che emerge dal testo di Luciano Canfora è una riflessione provocatoria riguardo alla reale natura di democrazia e tirannide, un accostamento audace di due forme politiche che grazie a questo libro paiono essere meno antitetiche di quanto non ci venga sempre detto, lasciando aperta la porta ad analisi sulla reale validità della democrazia e la effettiva negatività di un governo gravitante attorno ad una figura capace e carismatica.

Alessandro Polizzi

(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 12 di dicembre 2014)

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