La metamorfosi – Franz Kafka

“Quando Gregor Samsa si risvegliò una mattina da sogni tormentosi si ritrovò nel suo letto trasformato in un insetto gigantesco. Giaceva sulla schiena dura come una corazza e sollevando un poco il capo poteva vedere la sua pancia convessa, color marrone, suddivisa in grosse scaglie ricurve; sulla cima la coperta, pronta a scivolar via, si reggeva appena. Le sue numerose zampe, pietosamente esili se paragonate alle sue dimensioni, gli tremolavano disperate davanti agli occhi. «Che cosa mi è successo?», pensò. Non era un sogno”.  Con queste parole Franz Kafka, allora poco più che trentenne, comincia uno dei propri racconti più celebri e meglio riusciti. Una storia semplice, divisa in tre parti: la metamorfosi del protagonista Gregor, improvvisamente trasformato in insetto e per questo impossibilitato nell’andare a svolgere il proprio lavoro di commesso viaggiatore, causa scompiglio e sgomento nella famiglia. Egli finisce quindi segregato nella propria camera ad opera dei parenti, preoccupati per lui ma anche da lui, ormai gigantesco insetto senza più alcuna caratteristica umana, gravati inoltre dal peso di dover provvedere a se stessi, ora che lui non aveva più la possibilità di lavorare. La situazione inizia così a degenerare e, dopo un violento scontro con il padre – che per un equivoco aggredisce Gregor e lo ferisce gravemente lanciandogli contro una mela che penetra a fondo nella schiena da insettoide, là giacendo fino alla morte del protagonista – su iniziativa della sorella viene deciso di recluderlo in camera sua fino al sopraggiungere della sua ora. Quando una mattina questo avviene, il suo corpo viene gettato insieme ai rifiuti dalla donna di servizio e i familiari possono tornare a vivere, recandosi, finalmente felici, a fare una passeggiata fuori città pianificando il proprio futuro. Il racconto di questa vicenda incredibile – non a caso è stato coniato l’aggettivo “kafkiano” proprio per descrivere situazioni angosciose o paradossali divenute un dato di fatto a cui non si può sfuggire – serve però a trattare, in maniera metaforico-allegorica, delle tematiche psicologiche vicine a Kafka e caratteristiche del suo tempo, cosa che rende quest’opera, assieme ad altre del nostro (“Il castello”, “Il processo”), emblematica della condizione novecentesca. In primo luogo è la storia del rifiuto del diverso, di ciò che può turbare la “normalità”: all’iniziale preoccupazione per le sorti di Gregor, si sostituiscono un crescente disinteresse e infine un vero e proprio fastidio, dovuti alla consapevolezza dell’irreversibilità della situazione ma soprattutto alle necessità di natura economica. In questo modo l’uomo-insetto fa apparire il vero volto della famiglia, dominata dagli egoismi personali e celata dietro all’apparenza e alle convenzioni; sempre affettuoso e premuroso verso i propri cari, attento ai loro bisogni e interessi (particolare insistenza si nota nei riguardi della sorella, che Gregor avrebbe voluto far entrare al conservatorio), egli finisce per essere accantonato nel momento in cui diventa inutile e gravoso, costringendoli a sostituirsi a lui nel mantenimento familiare e facendo anzi talvolta saltare i loro progetti con la sua sola presenza nella casa. Importante è anche il modo di relazionarsi con Gregor. La madre è l’unica persona che sia in grado di immedesimarsi in lui, entrando nel suo mondo interiore ma non è in grado di intervenire e finisce con il chiudersi in se stessa lasciando carta bianca al marito e alla figlia. Quest’ultima risulta il motore della narrazione perché prendendo il comando decide le sorti del fratello dapprima nel bene, occupandosi amorevolmente di lui, con una morbosa esclusività che più volte pare sottolineata dall’autore e ricambiata nei pensieri dal protagonista, poi nel male, assumendosi la gravosa responsabilità di decretare di fatto la sua fine. Ma è il padre a risultare il vero centro della narrazione: con un motivo fortemente autobiografico – i rapporti conflittuali dello scrittore boemo con il genitore emergono chiaramente dalla “lettera al padre” – Kafka mostra tutta l’autorità di una figura ingombrante che con fare militaresco e tirannico amministra la vita familiare, creando un senso di colpa legato all’impossibilità di aiutare e risultare all’altezza della figura paterna. Durezza palese nella reazione del padre in occasione dell’episodio della mela, allorché egli è pronto a scagliarsi con forza contro il figlio-insetto senza nemmeno accertarsi prima del reale svolgersi dei fatti. Da non ignorare, infine, la trattazione dello spazio e del tempo, rapidamente mutati al cambiare della condizione del giovane commesso viaggiatore. La camera di Gregor è per lui il rifugio in cui rinchiudersi per trascorrere serenamente le poche ore di riposo lontano dal lavoro e dal dovere; all’avvenire della metamorfosi la stanza diventa però una prigione in cui finisce rinchiuso dai suoi cari e si inizia ad assistere ad un progressivo annullarsi del tempo, in coincidenza con la fine della sua attività, quasi a simboleggiare che l’unico tempo con un valore sia quello del lavoro e degli impegni, proficuo sotto il punto di vista economico. Con una bravura giustamente celebrata ancora oggi, Franz Kafka ha creato una pietra miliare della letteratura che ha la propria punta di diamante nella profondità del messaggio veicolato dal racconto, un grido di dolore carico del malessere esistenziale non solo suo ma di tutta la generazione di giovani della medio-alta borghesia – prova ne sono i numerosi scrittori suoi coevi, tra i quali ad esempio gli italiani Svevo e Pirandello – restituendoci una fotografia tutt’altro che lusinghiera di un’epoca a noi molto vicina e i cui problemi risultano – ahinoi – per certi versi familiari.

Alessandro Polizzi

(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 4 di aprile 2016)

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