Intervista di Alessandro Polizzi ad Andrea Di Lenardo, autore di “Israeliti e Hyksos. Ipotesi sul II Periodo Intermedio d’Egitto e la sua cronologia” pubblicato da Edizioni Kimerik.
Andrea Di Lenardo, classe 1994, originario di Gemona del Friuli (UD), diplomato al liceo classico. Cosa ci può raccontare di Lei?
Attualmente studio Storia all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia, in particolare il mio settore è Storia del Vicino Oriente antico e Storia delle religioni. La passione per questo ambito della storia arcaica, in particolare per il II millennio a.C. e per l’area del Vicinio Oriente antico – con Vicino Oriente antico intendo la Mesopotamia, ma in senso più allargato e quindi anche Anatolia, Creta, l’Egeo e fino anche all’Egitto – nasce tanti anni fa, addirittura quando avevo quattro o cinque anni, quando uscì l’enciclopedia “Egittomania” della De Agostini, che mia madre mi regalava settimanalmente. Ancora bambino, all’inizio nemmeno sapevo leggere, guardavo le VHS ed è da lì che il mio interesse è nato. Poi è proseguito, in particolare dalla Prima Media, con l’interessamento per la biblistica, la cristologia storico-critica, il folklore, la storia delle religioni etc.
Ovviamente ho anche altri interessi, ad esempio la musica (è batterista in una band, N.d.R.).
Potrebbe raccontare ai lettori, in breve, di cosa parla il Suo libro?
In questo primo libro, uscito a luglio, propongo una mia interpretazione della cronologia del II millennio a.C. concentrandomi sull’ambito spazio-temporale molto ristretto del Delta del Nilo sotto la XV dinastia d’Egitto. Il mio libro parte dalla constatazione che i racconti biblici – che in ambito antropologico e storico delle religioni sono considerati mito, cioè un racconto con una base storica narrata però in una chiave mitologica – potrebbero essere derivati dal contesto egizio del II Periodo Intermedio e dai faraoni di lingua semitico occidentale denominati in greco “Hyksos”, “principi/re/governanti/ capitribù dei paesi desertici stranieri”. Questa è un’intuizione certo da un lato mia, dall’altro nella storia è stata però più volte riproposta ad esempio già da Manetone, storico e sacerdote egizio autore del testo “Aigyptiaká” e che riteneva che gli Hyksos, i cosiddetti “re pastori”, fossero gli Ebrei, così come da Giuseppe Flavio, storico ebreo adottato dalla dinastia dei Flavi, che nel suo “Contro Apione” sostiene la stessa ipotesi. Anche in tempi recenti altri autori l’hanno ipotizzato; la cosa più interessante è che ho cercato molti elementi per tentare di avvalorare questa tesi. Accostando queste due popolazioni, i pastori Hyksos e gli Ebrei, ne risulterebbe che l’Esodo ebraico dall’Egitto altro non sarebbe che la cacciata degli Hyksos ad opera del faraone Ahmose della XVIII dinastia.
Inoltre al regno di Ahmose risale un importante documento, la “Stele della tempesta”, in cui vengono descritti sconvolgimenti climatici che potrebbero essere assimilabili agli effetti della catastrofica eruzione vulcanica di Santorini. Recenti studi, per altro, hanno dimostrato che questo tsunami arrivò appunto fino al Nord Egitto: sul sito di Tell el-Dab’a (antica Avari) sono state trovate tracce di pietra pomice derivata dall’eruzione in questione. Molte persone hanno accostato la stele all’evento vulcanico; io mi sono allora chiesto se qualcosa di simile venga descritto anche nella Bibbia. In essa ho in effetti trovato il racconto del Mare di Giunchi – interpretato oggi come Mar Rosso, sebbene il testo dica appunto Mare di Giunchi e non Mar Rosso – e del mare che si ritira per poi abbattersi sull’esercito del faraone, così come le dieci piaghe d’Egitto, con l’acqua che diviene rossa. Effettivamente l’eruzione di Santorini potrebbe aver determinato un’ossidazione delle acque, divenute appunto rosse, così come le infestazioni di insetti sarebbero dovute possibilmente alla putrefazione dei pesci morti a causa di questo mutamento. Addirittura nell’Esodo si parla di una grandine di fuoco, che potrebbe essere la pietra pomice appunto documentata dagli studi sul campo.
Dunque ho pensato che potrebbe essere una conferma, ché da un lato abbiamo la Stele della tempesta e l’espulsione degli Hyksos, popolo di lingua semitica, dall’altro l’Esodo e le descrizioni del Mare di Giunchi. Detto questo, si pone un problema di cronologia che affronto in un altro libro, che sto scrivendo, che si chiama “Filistei e Cretesi. Ipotesi sul tardo minoico e la sua cronologia” – titolo e sottotitolo molto simili a questo perché è un po’ la sua continuazione. In esso viene fornito il dato dell’ultima datazione dell’eruzione di Santorini: nel 1997 Manfred Bietak, egittologo ed archeologo dell’O.A.B. di Vienna, compiendo esami stratigrafici scoprì reperti risalenti all’epoca del faraone Ahmose in strati precedenti l’eruzione minoica. Allora la cosa non destò problemi, perché si riteneva che l’eruzione fosse stata nel 1550-1500 a.C., più o meno in concomitanza, cioè, con il regno di Ahmose, datato convenzionalmente 1570-1550 a.C. Recenti datazioni, al carbonio 14 e dendrocronologiche, portano però a datare l’evento al 1628 a.C. Nonostante questo, sembra che non si sia accostato questo dato con le scoperte di Bietak del ’97: infatti alla luce di ciò, il regno di Ahmose andrebbe retrodatato proprio a prima del 1628 a.C. Ma questo oggi non succede e si continua a tenere in uso la precedente datazione per il regno del faraone. Questo è un problema delle discipline che studiano il Vicino Oriente antico, che studiano le cronologie paese per paese senza metterle in relazione tra loro, anche in presenza di lettere diplomatiche tra un re ed un altro. Un po’ come se tra duemila anni venisse trovata una lettera diplomatica di Renzi ad Obama ma Renzi venisse datato al 2000 e Obama al 2100. Non è possibile una cosa del genere, evidentemente.
Questo, che è un po’ il punto di chiusura del mio libro, dimostra in ogni caso la necessità di retrodatare di circa settantotto anni la cronologia dell’area.
Da dove nasce l’interesse per questo argomento?
Come detto, già a quattro anni mi avvicinai al mondo dell’egittologia. Ma nello specifico di questo testo direi verso i sedici anni, quando leggendo un libro mi accorsi che gli Hyksos presentavano diverse analogie con gli Ebrei, sia nei nomi, alcuni molto simili e tipici semitici occidentali, sia nella vicenda dell’espulsone dall’Egitto. Riguardo a Giuseppe che si recava in Egitto si parla di un faraone su un carro trainato dal cavallo, carro da guerra introdotto là proprio dagli Hyksos. Mi sembrò subito che la storia degli Ebrei fosse modulata su quella degli Hyksos ed è da là che sono cominciati gli studi che mi hanno poi portato a questo libro.
Come e quando nasce l’idea di scrivere questo libro? È un progetto di lunga data o l’idea è nata in tempi recenti?
All’età di diciassette anni ho cominciato a mettere nero su bianco i dati che trovavo, per cui la primissima bozza risale già a cinque anni fa. In questi anni l’ho scritta e riscritta più volte. Arrivato poi alla Ca’ Foscari ho potuto acquisire i mezzi scientifici, storiografici e metodologici per approcciarmi alla questione in modo certamente più serio che in precedenza. Alla fine, deciso a pubblicare il mio volume, ho trovato un editore (casa editrice Kimerik, N.d.R.) all’inizio di quest’anno. Dopo un’ultima fase di riscrittura è finalmente uscito nel mese di luglio.
Ha in mente di scrivere altri libri?
Sì. Da qualche settimana sono tornato da Creta dove mi sono recato per poter studiare i siti minoici e lavorare al libro che citavo prima, “Filistei e Cretesi. Ipotesi sul tardo minoico e la sua cronologia”. In questo secondo libro vorrei appunto provare a ricostruire la cronologia dell’area cretese a partire dall’eruzione di Santorini; inoltre ipotizzo – o meglio cerco di portare più elementi possibili a sostegno di una tesi già formulata – che i Filistei di cui parla la Bibbia fossero una delle quattro popolazioni che vivevano a Creta, quella che i Greci chiamavano “Pelasgi” e che in Egitto, nel tempio di Medinet Habu, di Ramesse III, sono chiamati Peleshet e che sono appunto i Filistei della Bibbia. Spero di riuscire a pubblicarlo entro fine anno.
Poi assieme al dottor Alessandro De Angelis, specializzato nel campo demo-etno-antropologico, ho scritto un altro libro, “Exodos”, nel quale continuo e approfondisco la storia degli ebrei e le cause del loro esodo dall’Egitto partendo da una sintesi di questo mio primo libro, a cui vengono aggiunte ulteriori prove a sostegno dell’identificazione degli Hyksos con gli Ebrei. Lo stiamo concludendo e dovrebbe essere pubblicato per il mese di settembre.
Pensa di cimentarsi in nuovi generi letterari oltre alla saggistica?
Tra i nove e gli undici anni scrissi un romanzo fantasy, niente di che, ma mi piacerebbe ritrovare questo manoscritto e rimetterci mano per provare a vedere cosa ne viene fuori.
Quali sono, in generale, i Suoi progetti per il futuro?
Ho intenzione di concludere la laurea triennale alla “Ca’ Foscari”, dopodiché ho dei dubbi sul percorso da scegliere, ma principalmente la questione è se specializzarmi in egittologia o rimanere più in generale nell’ambito della storia delle religioni.
Congedandoci, c’è qualcosa in più che vorrebbe dire ai lettori riguardo al Suo libro, anche a proposito di possibili critiche?
Di critiche ce ne saranno di sicuro ma io spero proprio che ci siano, perché suscitano il dibattitto. Fin dalla premessa ho specificato che questa è un’ipotesi, ma ho anche specificato che un’ipotesi diventa una possibilità nel momento in cui vengono portati in suo favore degli elementi volti a provare a dimostrarne la credibilità. Spero sia il caso di quest’opera e delle altre che verranno.
Sicuramente ha dell’innovativo e sicuramente l’ambiente accademico non è sempre dei più ricettivi, oggi come nel Cinquecento, sebbene con esiti diversi. Numerosi sono gli studiosi, ad esempio Galileo ma anche molti altri nella storia, che hanno avuto delle intuizioni che sono state riconosciute solo postume, ma anche casi di persone derise, schernite per le proprie idee, come Schliemann, che non era un accademico ma solo un appassionato convinto di poter trovare le città di Micene e Troia, ma che fu schernito fino a quando non ci riuscì. Come detto, spero che venga fuori un dibattito interessante, ma più che sulla mia tesi sulla questione della cronologia.
Alessandro Polizzi
(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 8 di agosto 2016)