Dopo anni di traduzioni dall’ebraico, per conto delle Edizioni San Paolo, Mauro Biglino decide di tradurre la Bibbia trattandone il testo come il racconto di fatti realmente accaduti. Come fosse “una storia concreta del rapporto tra un popolo e un individuo di nome Yahwèh che aveva ricevuto l’incarico di occuparsene”. Per Biglino “chi ha scritto quelle vicende intendeva raccontare ciò che aveva visto o sentito narrare e lo ha fatto con quella meraviglia e quello stupore che sono inevitabili di fronte ad una tipologia di contenuti davvero speciali”. Pubblica così la trilogia “La Bibbia è un libro di storia”. Il risultato di un’appassionata opera di ricerca e di divulgazione che l’autore conduce pubblicando saggi e intervenendo a seminari e conferenze in giro per l’Italia.
Biglino non tratta i passi della Bibbia da un punto di vista religioso o filosofico e prescinde da qualunque valutazione o chiave di lettura che non sia il frutto di un lavoro di traduzione. Espone la sua tesi con chiarezza e semplicità, come se, dal suo tavolo di lavoro, raccontasse in diretta al lettore le sue riflessioni sulle possibili traduzioni di brevi passi e singole espressioni, sufficienti, da sole, a rivoluzionare il significato di tutto il testo biblico. Scelte di traduzione assolutamente comprensibili anche ai non esperti, a volte persino banali, come il lasciare inalterato l’uso del plurale invece che tradurlo modificandolo al singolare. Come avviene ad esempio con il termine Elohìm “termine plurale con cui si identificavano nelle lingue semitiche i ‘signori dell’alto’”. O come avviene con ADÁM che “è scritto spesso con l’articolo (Ha-Adàm, ‘lo Adàm’), a indicare che non si tratta di un nome proprio, ma generico; sta a indicare quindi una tipologia di esseri viventi, quelli dell’ ADÁMÁ, la Terra: il ‘terrestre’ dunque”.
“Il libro che cambierà per sempre le nostre idee sulla Bibbia” è il primo della trilogia ed ha il merito di fornire un quadro d’insieme, per quanto stupefacente, di buon senso e coerente, sia nel suo impianto complessivo che in relazione ai miti di altre antiche culture. Colpisce in particolare la corrispondenza con la narrazione sumerica della creazione.
“Narra il mito sumerico che gli dèi, costretti a scavare e ammucchiare terra, si lamentavano della loro vita e ritenevano ENKI colpevole della loro gravosa situazione. La madre di ENKI, allora, sollecita il figlio ad intervenire per aiutare gli ANUNNAKI che faticano troppo: lo invita apertamente a creare un sostituto – un doppio – degli dèi affinché possano liberarsi dal peso del lavoro…gli suggerisce di plasmare dei servitori. (…) Grazie alle loro conoscenze scientifiche, questi ANUNNAKI effettuarono così una serie di esperimenti manipolando geneticamente gli ominidi con l’innesto di una porzione del proprio DNA. (…) Operando nel loro laboratorio, conosciuto come “Camera delle creazioni”, dopo vari tentativi – di cui molti fallimentari… – produssero la nuova creatura chiamata LULU, cioè ‘il mescolato, il misto’…Questa nuova creatura era anche chiamata ADÁMÁ, da cui il biblico ADÀM, ‘quello della terra’, ‘il terrestre’”.
L’autore sacrifica l’approfondimento filologico delle traduzioni proposte a beneficio di un sguardo ampio che spazia lungo il racconto biblico, dalla Genesi al Vangelo di Giovanni, e arricchisce le sue riflessioni con frequenti richiami a studi e pubblicazioni che vanno dall’archeo-antropologia alla filosofia. In entrambi i casi presta il fianco alle critiche degli esperti monosettoriali, ma sceglie di porsi in sintonia con il lettore, raccontando con semplicità, emozione e coraggio la sua “ricerca in divenire”.
Maria Luisa Polizzi
(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 11 di novembre 2015)