I romanzi storici ed i film hollywoodiani sull’antica Roma tendono ad esaltarne l’aspetto organizzativo della macchina militare e l’astuzia dei singoli protagonisti sullo sfondo degli scontri con i “barbari”di turno incontrati nella graduale espansione in territori sconosciuti. Vi è però un aspetto fondamentale in epoca classica come lo è ancora oggi ed è quello dell’intelligence che tende ad essere trascurato. La forza muscolare dell’esercito romano, senza l’integrazione della vista e dell’udito, qui rappresentati dal servizio informativo, sarebbe servita a poco sia nei secoli delle conquiste come nei successivi periodi di consolidamento delle frontiere. Da sempre le informazioni sono un prerequisito fondamentale per ogni struttura di potere. Gli elementi certi sull’argomento, cioè le testimonianze scritte e le prove archeologiche, sono disponibili in libri specialistici come “Exploratio” di Norman Austin e Boris Rankov
pubblicato nel 1995 dalla casa editrice inglese Routledge che ripercorre la storia dello spionaggio nell’antica Roma, la sua comparsa ed il progressivo sviluppo del sistema informativo politico e militare messo in atto nel periodo compreso dalla seconda guerra punica alla battaglia di Adrianopoli. Austin in qualità di docente di studi classici alla Massey University ma con un passato nel servizio di Intelligence della Rhodesia ha curato i capitoli sulla operatività del sistema mentre Rankov, professore presso l’università londinese Royal Holloway ne ha seguito prevalentemente gli sviluppi storici e amministrativi. L’autore sottolinea il fatto che nell’antichità l’esperienza pratica sul campo veniva considerata una qualifica primaria per uno storico, pena una visione semplicistica delle situazioni critiche e la prevalenza delle impressioni personali invece della conoscenza dettagliata della realtà, magari modellandola in base alle aspettative dell’autorità che si desidera compiacere. Per questo motivo gli autori scelgono come fonti alcuni storici e comandanti come Cesare, Tacito, Cassio Dione e Ammiano Marcellino che nelle rispettive epoche e circostanze storiche hanno fatto esperienza personale con attività di tipo spionistico. Naturalmente Rankov e Austin hanno attinto in parte anche ad altri autori classici come Polibio per il contributo sugli aspetti politici e diplomatici dei conflitti e Cicerone che grazie alle sue lettere fornisce uno spaccato sui diversi tipi di informazione che potevano confluire in un quartier generale romano. Austin rimane critico verso gli storici definiti “da salotto” come Velleio Patercolo e Giuseppe Flavio che semplificando le loro esperienze le hanno riportate in modo vago e impreciso. Austin accenna al “Ciclo dell’Intelligence” attraverso il tipico schema con cui viene gestito l’insieme dei dati di varia natura, apparentemente scollegati, la loro progressiva elaborazione ed infine la trasformazione in “informazioni” utili al decisore politico o militare.
Per maggiore chiarezza si rimanda ad un testo come “Intelligence e metodo scientifico” di D. Antiseri e A. Soi, pubblicato da Rubbettino Università, che descrive il processo di ricerca e raccolta delle notizie, la loro collazione (ovvero il raggruppamento con altre dello stesso argomento archiviate in precedenza), l’analisi delle stesse divenute ora “informazioni” che possono essere valutate sulla base dei parametri della fondatezza e affidabilità.
Nel libro “Exploratio” l’intelligence viene descritta suddividendola in Strategica e Tattica, anche se nella realtà sembra esserci stata una frequente sovrapposizione. La prima ha finalità preventive e di preparazione ad eventuali conflitti mentre l’intelligence tattica interviene ad ostilità in corso. I metodi usati per acquisire informazioni strategiche e tattiche dal periodo classico fino alle soglie dell’epoca moderna sono rimasti quasi invariati ed è solo con il moderno sviluppo tecnologico e la possibilità di fare viaggiare più velocemente le informazioni che si verifica un cambiamento radicale. Nell’epoca classica l’attività di spionaggio è dovuta ricorrere quasi esclusivamente alle fonti umane (definite oggi “humint”, dall’inglese human intelligence). In pratica gli strumenti dell’ intelligence strategica sono stati i canali diplomatici, i regnanti stranieri alleati ed i principi clienti, le spie infiltrate nei centri di potere ma anche la raccolta di notizie nei mercati e nei forti militari collocati in prossimità dei confini, le spedizioni in territori sconosciuti, i contatti con le forze di opposizione all’interno degli stati stranieri e gli apparati di disinformazione (ovvero gli stessi mezzi non disdegnati dai moderni servizi segreti).
L’intelligence tattica, spinta dalle esigenze belliche più immediate, ha realizzato i propri obiettivi attraverso singoli individui o piccoli gruppi di militari specialisti, individuati come exploratores, procursatores e speculatores. I ruoli intercambiabili di questi soldati nel tempo cambiano ed a partire dal II secolo d.C. alcune unità di exploratores divengono permanenti ed agiscono secondo precisi bisogni informativi, ricorrendo ad interrogatori di prigionieri e spingendosi in territori ostili ma in genere all’interno di un raggio d’azione limitato per poter mantenere un collegamento pressoché costante con il comando.
Il ruolo di spia (agente operativo, 007 ante-litteram) è stato ricoperto dagli speculatores che hanno condotto il tipico stile di vita sfocato e indistinto operando in segreto e a volte nel più completo isolamento. Dal I secolo d.C. in poi anche il corpo militare dei frumentarii (in origine addetti all’approvvigionamento delle truppe) ha cominciato a svolgere funzioni di collegamento sistematico tra Roma e le sue provincie, divenendo in seguito messaggeri degli imperatori romani e all’occorrenza assassini a comando, fino alla fine del III secolo quando ormai “famigerati e odiati” verranno sostituiti dagli “agentes in rebus”. Gran parte del lavoro dell’intelligence riguarda però l’analisi delle notizie raccolte dagli agenti operativi elencati prima o riportate dai diplomatici. Per questa attività sono necessarie figure diverse con specifiche abilità e competenze e capaci di collaborare all’interno di un centro di comando. Il quartier generale del governatore provinciale, l’officium del governatore con il suo staff, composto a volte da centinaia di elementi, ha costituito un’importante fonte di intelligence per la capitale e gli imperatori.
In ogni provincia soldati addestrati e con esperienza hanno ricoperto ruoli come responsabili amministrativi (cornicularii), cancellieri (commentarienses , exacti), segretari (notarii), archivisti (librarii), stenografi (exceptores), interpreti (interpretes), interrogatori (questionarii), ufficiali liberi dai compiti ordinari (beneficiarii), professionisti dell’amministrazione e assistenti vari. Il governatore si occupa della diplomazia nel proprio territorio, conosce il proprio esercito di frontiera e mantiene i contatti con i vicini re stranieri, sostenendo i re clientes, usando sussidi per comprare la pace o favorire la ribellione. Rankov e Austin esprimono sorpresa per la mancanza di tentativi da parte di Roma di creare un servizio di informazioni centralizzato ed un ciclo di intelligence nella stessa capitale; questa esigenza emergerà in seguito alla situazione di caos alle frontiere e allo stato di insicurezza del II e III secolo inducendo gli imperatori a recarsi personalmente nelle aree di crisi militare (a partire da Marco Aurelio) ed usufruire in maniera diretta dell’intelligence provinciale; ma le crisi simultanee porteranno nel IV secolo allo sviluppo della burocrazia con un’amministrazione centralizzata che migliorerà l’efficienza dell’intelligence imperiale grazie alla condivisione di informazioni tra le diverse strutture di servizio informativo militare costituite in questa fase storica.
Il libro si conclude con la battaglia di Adrianopoli, avvenuta il 9 agosto del 378 d.C., una sconfitta che secondo molti studiosi segna l’inizio della caduta dell’impero romano d’occidente e che viene attribuita dagli autori del libro non ad un errore dell’intelligence quanto ai dissidi interni del gruppo dirigente e ad un uso inefficace degli agenti informatori. Questi ultimi, forse non avendo chiaro il fabbisogno informativo, limitarono la missione alle notizie sulla situazione nel campo avversario in cui risultava presente la fanteria ma non la cavalleria, senza approfondire i motivi dell’assenza (la cavalleria dei Goti era nei dintorni per reperire del cibo). L’attacco immediato dell’imperatore Valente si rivelò un errore molto costoso causando la perdita di quasi due terzi dell’esercito romano. L’episodio dimostra quanto sia importante un’attività di intelligence condotta correttamente sulla base di chiare indicazioni da parte del comando e quali i limiti di una macchina bellica che agisce senza una conoscenza adeguata del campo di battaglia.
Il testo in lingua inglese racconta in poco meno di trecento pagine un aspetto poco conosciuto della storia romana usando i numerosi fatti di spionaggio descritti dagli storici classici e che i due autori anglofoni esaminano in modo approfondito per ricavarne ipotesi molto plausibili, correlazioni e un quadro generale sull’evoluzione del servizio informativo dell’antica Roma e la invidiabile efficienza della sua amministrazione. In questo senso il lavoro di Austin e Rankov costituisce una pietra miliare su questo argomento.
Paolo Salvatore Polizzi
(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 2 di febbraio 2017)