Scritto da uno dei più grandi autori del Novecento e della letteratura russa, Michail Afanas’evič Bulgakov, il romanzo fanta-scientifico “Cuore di cane”, pur non essendo pari al capolavoro “Il maestro e Margherita”, risulta particolarmente felice.
La vicenda ha per protagonista un cane, un randagio abbandonato alle intemperie e agli stenti delle fredde strade della Mosca post-rivoluzionaria; nel mentre di questa sua condizione degradata, esso osserva e giudica la varia umanità che gli scorre davanti, fino a quando un giorno un uomo, un distinto borghese, non decide di portarlo con sé a casa propria. La vita del cane, ribattezzato Pallino dal nuovo proprietario, cambia radicalmente: l’uomo è infatti un noto medico, Filip Filipovič, proprietario di un lussuoso appartamento-studio medico di sette stanze, dotato di servitù e di un assistente, il dottor Bormental.
Proprio il professor Filipovič e il suo assistente decidono di compiere un esperimento inedito e assolutamente innovativo: trapiantare nel cane Pallino l’ipofisi e le gonadi di un alcolizzato ucciso in una rissa da bar. L’intervento riesce e procura a Pallino una trasformazione radicale: egli diviene un ibrido, si antropomorfizza, perdendo gradualmente coda, artigli, peli, iniziando a camminare su due zampe e acquisendo infine la capacità di parlare. Pallino, assunto il nome da cittadino registrato all’anagrafe di Poligraf Poligrafovič Pallinov, comincia però a comportarsi in modo inopportuno, dando vita a scenette comiche esilaranti: ereditati i lati peggiori dell’alcolizzato moscovita, si abbandona al turpiloquio, rivolgendo improperi anche verso i suoi “creatori”; si abbandona agli istinti più bassi, commettendo oscenità quali molestare alcune pazienti del professor Filipovič; si abbandona, come già il “donatore”, all’ alcolismo, trangugiando ingenti quantità di vodka; compie infine discorsi infarciti di retorica sul comunismo e le teorie di Engels e Kautsky, suscitando l’ira del professore e del suo assistente quando si abbandona ad un non troppo celato attacco nei loro confronti (“C’è chi si piazza in appartamenti di sette stanze, chi ha quaranta paia di pantaloni e c’è chi deve correre da una pattumiera all’altra per sfamarsi”).
Esasperati dalle bravate di Pallinov, che entra anche in combutta con i responsabili del caseggiato, gli Schwonder, determinati ad espropriare al professore parte del lussuoso appartamento, Filipovič e Bormental compiono una nuova operazione, asportando l’ipofisi e causando il regresso di Pallino nuovamente allo stato di cane.
Un racconto scorrevole e piacevole, con punte di grande comicità e dotato di un certo grado di originalità: se l’idea della metamorfosi non è nuova, così come non lo sono i racconti con canidi (Argo, cane di Ulisse, Cerbero, ma anche, più di recente, Zanna Bianca, Pallino e Mimì di Pirandello etc.), nuovo è però il cane con la cravatta, capace di chiacchierare, leggere o ancora fumare mentre sta comodamente seduto in poltrona. Il tutto contornato da un incredibile simbiosi tra realismo e fantastico che fa quasi dimenticare al lettore di star leggendo il dialogo fra delle persone e un animale parlante.
Di grande intrattenimento, l’opera è anche portatrice di un significato più profondo: una critica di Bulgakov all’uomo nuovo dei bolscevichi, “nato” dalle ceneri di quello vecchio abbattuto dalla recente rivoluzione. Ma anche una critica alla scienza, colpevole di superare i propri limiti (creando un grottesco e sgraziato ibrido), critica mossa anche nel suo altro racconto, “Uova fatali”.
Alessandro Polizzi
(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 6 di giugno 2016)