Dopo la trilogia “La Bibbia è un libro di storia”, Mauro Biglino scrive “Antico e Nuovo Testamento. Libri senza Dio”, con il quale estende anche al Nuovo Testamento, il suo metodo di lettura della Bibbia, basato sul metodo fare finta che sia vero tutto ciò che in essa è narrato. Per Biglino, infatti, se trattiamo la Bibbia come un libro di storia, appare evidente che in esso non è presente alcun carattere di universalità. Si tratta al contrario della storia di una parte della famiglia di Abramo e del loro difficile rapporto con Yahweh, uno degli Elhoim allora presenti sulla terra. Gli eventi sono narrati così come i protagonisti li hanno vissuti e percepiti, con la sottomissione e la meraviglia che suscita una tecnologia o un fenomeno sconosciuto. Le poche norme comportamentali in essa contenute non costituiscono certo un sistema etico, culturale o religioso e non c’è traccia di riferimenti ad una dimensione spirituale. Del resto, non c’è nulla di sacro nelle battaglie e negli stermini voluti da Yhaweh che, grazie alla tecnologia avanzata di cui dispone e che non disdegna di utilizzare anche contro i suoi sudditi, induce il suo popolo a servirlo in cambio della promessa di un fazzoletto di terra, mai ottenuto. La religione che ne sarebbe derivata non sarebbe stata molto diversa dal culto del cargo riscontrato presso alcune tribù del Pacifico alla fine della seconda guerra mondiale, quando, dopo aver visto le navi cargo giapponesi e statunitensi trasportare grandi quantità di cibo e di merci, i locali svilupparono pratiche e rituali religiosi che imitavano i comportamenti dei militari.
Allora perché la Bibbia diviene invece il fondamento delle grandi religioni monoteiste, determinando la vita e le leggi di miliardi di persone ancora oggi? Mauro Biglino pone e argomenta importanti domande, proprio a partire da questa: chi ha trasformato in Dio, un uomo di guerra ( così lo definisce il libro dell’Esodo 15,3), privo di rispetto per la vita di ogni essere umano che non appartenesse alla sua alleanza?- e ancora – “chi ha elaborato un sistema di propaganda che si è rivelato più efficace di qualunque strategia di comunicazione messa in atto dalle varie dittature che hanno operato nella storia dell’umanità?”
In “Antico e Nuovo Testamento. Libri senza Dio” l’autore ripropone il dibattito sulla traduzione del termine Elhoim, confutando, come in un confronto a distanza, le diverse obiezioni mosse dagli esegeti monoteisti a seguito dei suoi primi libri, ed estende l’analisi sull’uso al plurale del termine Elhoim anche al Nuovo Testamento. Relativamente al quale, come lui stesso afferma nell’introduzione, inserisce “una serie di prime riflessioni” sulla narrazione evangelica della vita di Gesù, dal concepimento alla crocifissione.
Mauro Biglino va però oltre i dubbi che pone, grazie alla sua competenza di traduttore di ebraico masoretico, sulla correttezza delle traduzioni/interpretazioni delle singole parole del testo. Propone una lettura critica della Bibbia, che tenga conto anche delle vicende storiche che hanno caratterizzato le innumerevoli riscritture, copiature e selezioni/validazioni dei testi; a partire dalla vocalizzazione, cioè dall’inserimento delle vocali di cui il primo corpus di scritti era privo, avvenuta tra il VI e IX secolo d.C. , e ancor prima ad opera di Paolo di Tarso.
Come lo stesso Biglino ricorda, nel 1229 il concilio di Tolosa proibisce ai laici il possesso della Bibbia; nel 1243 una disposizione del Concilio di Taragona impone di consegnare ai Vescovi tutte le traduzioni della Bibbia nelle lingue nazionali perché vengano bruciate. Seguono poi i crimini commessi per secoli dalla cosiddetta Santa Inquisizione, nonché la pubblicazione dell’Indice dei libri proibiti (1559), abolito solo nel 1966, “che in origine conteneva ben 45 edizioni della stessa Bibbia”; “la lettura era consentita solo a seguito di permessi appositamente concessi, solo a chi conosceva la lingua latina e comunque era vietata alle donne…” . Sicuramente la Bibbia merita una lettura critica e non mediata, perché ha molto da raccontare.
Maria Luisa Polizzi
(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 7 di luglio 2017)