Acqua bene prezioso e conteso

Nella storia dell’uomo non è certo una novità imbattersi in guerre per il controllo dell’acqua, ovvero in conflitti causati dalla necessità dei popoli di possedere risorse idriche. Ma da quando il termine “guerra dell’acqua” è stato coniato, tali conflitti hanno inevitabilmente assunto varie forme e differenti motivazioni, lasciando trasparire in molti casi gli interessi economici dei pochi, prima ancora del fabbisogno di acqua come bene primario.

Per questa ragione le parole pronunciate da Ismail Serageldin, vice-presidente della Banca Mondiale a metà degli anni novanta, continuano a tuonare come un monito per il futuro: “Se le guerre di questo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del prossimo secolo avranno come oggetto del contendere proprio l’acqua”. E a questa già dura dichiarazione fanno eco le parole di Peter Gleick, presidente del Pacific Institute di Oakland, intervistato dal quotidiano on line “Lettera 43” poco tempo fa, al quale lo scienziato ha dichiarato: «Meno acqua c’è, più aumenta il rischio di guerre per contendersela anche all’interno degli stessi Stati, per esempio tra gruppi sociali con interessi economici differenti».

Il problema sta nel fatto che, il più delle volte, sono stati proprio quegli interessi economici di pochi gruppi sociali, e delle industrie multinazionali in particolare, a determinare la scarsità di acqua in alcuni territori, dando vita così a cruente contese per accaparrarsi la già poca acqua potabile rimasta.

Tuttavia questo argomento, tranne che su scala globale in seno alle tematiche ambientaliste, non viene affrontato nella maniera corretta per sensibilizzare l’opinione pubblica o quantomeno per informarla. La percezione che si ha in genere, soprattutto da parte dell’occidente nei confronti di tale problematica, che non può più dirsi tipica solo dei Paesi in via di Sviluppo, è “una percezione corrotta da una programmata disinformazione”, a detta di esperti ambientalisti come la scienziata indiana Vandana Shiva. Insomma, chi controlla il potere preferisce mascherare le guerre dell’acqua travestendole da conflitti etnici e religiosi, spiega Vandana Shiva nelle sue numerose conferenze.

Nel suo libro “la guerra dell’acqua” per esempio, il suo J’accuse si rivolge proprio a quelle multinazionali che sfruttano le risorse idriche di una regione senza curarsi delle devastanti conseguenze che, attraverso l’utilizzo di tecnologie dedite solo allo sfruttamento, determinano il prosciugamento di interi bacini acquiferi sotterranei. In taluni casi è colpa di quelle industrie che assorbono l’acqua destinata ai campi, inasprendo l’annoso conflitto tra campagna e area urbana. Basti pensare alle numerose rivolte dei contadini in India o alle più recenti tensioni tra Egitto ed Etiopia per il controllo del Nilo, celerebbero la crescente richiesta di quello che ormai è stato definito l’oro blu del nuovo secolo secondo un’analisi che collegherebbe la scarsità d’acqua nelle campagne al malcontento che sfocia nella protesta, per poi assumere talvolta i connotati della guerriglia.

Un altro elemento che è ancora oggetto di un aspro dibattito è quello relativo allo sfruttamento di certe aree agricole a favore della coltivazione di riso e cereali modificati, in quella che è stata definita la “Rivoluzione Verde”. L’irrigazione e la coltivazione in maniera massiccia infatti, che avrebbero dovuto portare una maggiore quantità di risorse alimentari nelle zone più povere del mondo, sembrano invece aver causato enormi costi sociali ed ecologici. Per esempio il riso e il frumento utilizzati richiederebbero una quantità d’acqua tre volte superiore rispetto alle varietà indigene. Inoltre quest’uso eccessivo di acqua non permetterebbe un deflusso corretto sul terreno, dando vita a pericolosi ristagni e a successive e inevitabili desertificazioni.

 

 

 

 

 

L’attenzione delle organizzazioni internazionali è sempre più rivolta verso questa problematica che, vera emergenza, è sostenuta da dati abbastanza allarmanti stilati di recente dall’UNICEF e dall’OMS: 884 milioni di persone sono prive di acqua potabile. Da quando nel lontano 1992 l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha istituito la “Giornata Mondiale dell’acqua”, ogni anno viene messa al centro delle agende dei governi di tutto il mondo una maggiore attenzione alla scarsità di acqua nel pianeta. Ma solo negli ultimi anni, forse in conseguenza di un peggioramento di tale problematica, si è compreso l’importanza di un’azione globale immediata, che metta in cima alla lista delle cose da fare innanzitutto uno sviluppo sostenibile delle sorgenti idriche, per evitare gli sprechi, e poi il “diritto inalienabile” di accedere all’acqua potabile da parte di tutti, poiché il benessere e la ricchezza di ogni popolo è chiaro ormai che passa proprio dall’acqua.

Antonino Polizzi

(Articolo tratto dal mensile “Lo Scaffale” – N. 3 di marzo 2013)

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